“L’invenzione della felicità.” A Milano la mostra su Jacques Henri Lartigue

di Elisa Heusch

QUARTO OCCHIO – Il numero di giugno de La Redazione Online è incentrato sul tema della felicità, una tematica piacevole e apparentemente leggera, ma che al tempo stesso ci permette di riflettere in modo più profondo: si tratta di quella felicità a cui tutti aspiriamo e che – soprattutto nel momento storico che stiamo attraversando – sembra quasi un ideale irraggiungibile; che non è mai scontata ma va piuttosto attribuita ad una serie di piccoli momenti e alle emozioni del vissuto di ciascuno.

In linea con il tema, mi va di porre l’attenzione sulla riedizione dell’importante mostra “L’invenzione della felicità”, che è stata la più ampia retrospettiva mai realizzata in Italia, dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (Courbevoie 1894 – Nizza 1986), curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci di Venezia.

Dopo il successo ottenuto appunto presso il museo La Casa dei Tre Oci, da luglio 2020 a gennaio 2021, la mostra è adesso approdata a Milano, ospitata dal Museo Diocesano Carlo Maria Martini, a partire dal 21 maggio e fino al 10 ottobre 2021.

L’esposizione presenta 120 immagini, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue (di cui 55 inedite) ed è realizzata in collaborazione con Casa Tre Oci di Venezia e con la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi, con il patrocinio del Comune di Milano, del Consolato di Francia a Milano, e dell’Institut Français di Milano, con il sostegno di Ricola, media partner IGP Decaux.

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A queste fotografie si aggiungono alcuni materiali d’archivio – libri quali il Diary of a Century (pubblicato con il titolo “Instants de ma vie” in francese) e riviste dell’epoca – che ripercorrono l’intera sua carriera, dagli esordi dei primi del ‘900 fino agli anni ’80 e ricostruiscono la storia di questo fotografo e la sua riscoperta. 

Il 1963 è stato in quel contesto un anno cruciale: John Szarkowski, da poco nominato direttore del dipartimento di fotografia del MoMa – il Museum of Modern Art di New York, espose i suoi lavori al Museo newyorkese, permettendogli di raggiungere il successo, quando l’artista era ormai prossimo ai settant’anni.

Il percorso de “L’invenzione della felicità” si articola intorno a questi grandi momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, partendo dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, e che hanno fatto di lui una sorta di ‘enfant prodige’ della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quell’ epoca, Lartigue s’interessava alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, o alle corse ippiche di Auteuil, e agli uomini e alle donne eleganti che erano soliti frequentarle.

La ‘parte di mondo’ di Lartigue – scrive Denis Curti nel suo testo in catalogo – è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”.

A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni Sessanta, Lartigue incontrò Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di quegli anni, che si appassionarono subito alla sua arte.

Avedon, in particolare, gli chiese di scavare nel suo archivio per riportare alla luce alcuni scatti al fine di creare una sorta di ’giornale’ fotografico. La selezione di queste immagini, fatta dallo stesso Avedon e da Bea Feitler, photoeditor di Harper’s magazine, portò nel 1970 alla pubblicazione del volume Diary of a Century che lo consacrò definitivamente tra i grandi della fotografia del XX secolo.

Ma Lartigue non era più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni Quaranta pubblicava le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate.

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Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni della mostra si concentrano sugli anni Settanta e Ottanta, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema – dove ha lavorato come fotografo di scena per numerosi film – e con il mondo della moda.

L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e anche ironici.

Il suo sguardo sulle vicende umane è sempre stato caratterizzato da una straordinaria freschezza e da una particolare leggerezza, non intesa come superficialità, bensì come capacità di mettere a fuoco nelle sue fotografie un mondo fatto di bellezza, di eleganza e di intimità.

Lartigue faceva sempre seguire la sua firma da un piccolo disegno di sole: “È per questo che ho fatto fotografie per tanti anni: per approfittare di questi meravigliosi regali del caso. Bisogna trovare ogni giorno il modo di essere felici”.
La sua fotografia trova la più profonda ragion d’essere nello stupore per ciò che lo circonda: guardare l’istante presente e scorgervi dentro la bellezza.

É quello che la sua arte ancora suggerisce a noi che la osserviamo, chiamati a interrogarci non solo su ciò che le sue fotografie possono raccontarci del passato, ma anche, e soprattutto, ciò che possono svelarci del presente.

Sono importanti alcuni cenni storici, al fine di comprendere ancor meglio l’autore.

Nel 1902, all’età di sette anni, Lartigue ha ricevuto in regalo dal padre la sua prima macchina fotografica ed è proprio allora che è iniziata la sua attività di fotografo: scattava e sviluppava le proprie foto dapprima con l’aiuto di suo padre, ed in seguito da solo. Ritraeva il mondo che gli stava attorno: parenti, amici e, più in generale, la quotidianità della borghesia.

A partire dal 1904 ha iniziato a cimentarsi con alcuni esperimenti fotografici. L’esempio più rappresentativo di queste prove è costituito dalle sovrimpressioni per creare foto di “pseudo fantasmi”.

Automobili e aeroplani, ma più in generale il movimento, diventeranno poi tra i soggetti da lui preferiti.

In questi anni comincia a delinearsi la filosofia che caratterizzerà poi la sua intera vita: il culto della felicità, la ricerca di un idillio che non possa essere turbato da traumi profondi.

Tale ideale, che si rispecchia a pieno con il periodo della Belle Époque, viene rappresentato dalle fotografie di serate mondane e eleganti dame a passeggio al Bois de Boulogne, che lo avevano interessato fin da quando era giovane.

Parallelamente, in piena prima guerra mondiale, Lartigue decise di dedicarsi alla pittura.

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In questi anni, lavorava anche come scenografo, illustratore e fotografo di scena, iniziando a frequentare personalità di spicco del mondo dell’arte e cinema. Grazie ad Albert Plecy, influente personalità del mondo della fotografia in Francia, nel 1954 viene fondata l’associazione Gens d’Images e Lartigue ne diviene il vicepresidente. L’anno successivo Lartigue espone per la prima volta le sue fotografie alla Galerie d’Orsay, accanto ai lavori di Brassaï, Doisneau, e Man Ray.

Il suo nome comincia così a circolare, ma la sua vera fortuna come autore fotografico arriva soltanto come detto sopra nel 1963, anno in cui il MoMA di New York gli dedica la personale The Photographs of Jacques Henri Lartigue. Il portfolio della mostra viene pubblicato sul vendutissimo numero di Life dedicato all’assassinio del presidente Kennedy, e il nome e l’opera del fotografo vengono resi noti ad un pubblico molto vasto. Altre esposizioni e la pubblicazione di vari libri dedicati alla sua opera, fra i quali The Family Album, edito da Ami Guichard nel 1966, e Diary of a Century, ideato da Richard Avedon, ne rafforzeranno la fama in seguito, tanto che nel 1974 diventerà fotografo ufficiale del presidente francese.

Da allora, pur continuando a fotografare per se stesso, dedicherà molto del suo tempo alle commissioni di riviste di moda e arti decorative.

È morto il 12 settembre del 1986 a Nizza, all’età di novantadue anni, restando nell’immaginario delle persone come il testimone privilegiato di un’età d’oro.

Link al video teaser della mostra

https://youtu.be/1d01J4y-TnY


Nel 1979, Jacques Henri Lartigue donò la sua collezione di fotografie, diari e macchine fotografiche allo stato francese. Le opere sono conservate alla Médiathèque de l’architecture et du patrimoine, e la Donation Jacques Henri Lartigue conserva e gestisce la collezione.

Apertura mostra: Martedì / Domenica, ore 10-18
La biglietteria chiude alle ore 17.30.
È possibile acquistare il biglietto di ingresso in loco oppure online sul sito https://www.midaticket.it/eventi/museo-diocesano-di-milano
Ingresso serale alla mostra: Martedì / Domenica, ore 18-22

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